"Si fa arte perchè il mondo è imperfetto"

Paul Auster

Convegno sull'Iperrealismo - Sala Zuccari - Senato della Repubblica



È stato un grande onore avere la possibilità di essere relatrice come critico d’arte e allo stesso tempo mediatrice al Convegno sull’Iperrealismo con l'artista Silvia Pagano, il Ministro Alfano, il Senatore Albertini e il Senatore Turano presso la Sala Zuccari del Senato della Repubblica, caratterizzata da affreschi del tardo Cinquecento nella volta, la cui bellezza toglie il fiato, e sulle pareti arazzi del Seicento, intervallati da seduttive colonne tortili di epoca barocca.
In questo luogo storico - Palazzo Giustiniani – è stata scritta la Costituzione e sapere questo ha reso ancora più emozionante poter parlare di arte, di “questa cosa” che muta, cambia e non intendo definire perché qualunque definizione toglie le infinite possibilità del tempo e della storia.


L’Iperrealismo presenta una realtà ingigantita, una visione di dettagli nitidi in grado di oltrepassare lo sguardo retinico, di sfidare l’obiettivo fotografico per togliere il peso alla realtà, trasferendo la visione delle cose su un piano senza tempo. L’immagine diventa congelata, sospesa. Immortale. 

La si osserva con estrema sorpresa, chiedendosi se si è davanti a una fotografia perché l’opera iperrealista consegna una domanda, un dubbio e porta in altri territori dove prende forma la ricerca dell’arte dinanzi alla vita.

Non è un caso che questa corrente artistica sia nata negli anni Sessanta negli Stati Uniti, quando già Jackson Pollock aveva mediato il rapporto con l’opera attraverso l’action painting e il dripping; Marcel Duchamp aveva dichiarato che un’opera d’arte può essere anche un ready made – un oggetto già esistente - come un orinatoio maschile (Fountain, 1917); John Cage aveva inventato la prima Perfomance audio-visiva come Variations V nel 1965 dopo gli Happenings di Allan Kaprow (1958).

Nel XX secolo vengono rifiutate le identità chiuse dell’artista e dell’opera che comincia a diventare una emanazione del progetto dell’artista: un work in progress, un evento, un "salto nel vuoto", un “ritardo”, una rottura, un “taglio”, una provocazione.

Dalle arti visive alla letteratura, che sperimenta l’estetica della frammentarietà con Roland Barthes, alla teoria della relatività di Einstein fino alle teorie filosofiche di de-centramento e de-costruzionismo di Derrida - per riportare solo alcuni esempi – il centro di interesse comune è l’uomo: nella storia, nella identità sociale e psicologica, nell’arte, nel manifestare una crisi di identità e di immaginazione.

Quasi in controtendenza rispetto a tutto questo nasce l’Iperrealismo: una tecnica capace di raccontare il reale, cogliendo nella liminalità delle cose ciò che resta del tempo, di una ruga, di uno sguardo, di un dettaglio. Proprio le parole “raccontare” e “identità” sono termini chiave per cogliere nell' "estetica iperrealista" una dimensione narrativa e una precisa identità rispetto alla eterogeneità e alla "libertà di significare" tipica dell'arte contemporanea.

Parlare della storia dell’arte del XX secolo e di Iperrealismo vuol dire anche attraversare la complessità della conoscenza e la contemporaneità del mondo in cui viviamo perché in fondo come sostiene il filosofo Giorgio Agambem essere “contemporaneo è, appunto, colui che è in grado di scrivere intingendo la penna nella tenebra del presente”.




Con l'artista Silvia Pagano
Con l'artista Silvia Pagano, il Senatore Renato Turano, il Ministro Alfano, il Senatore Gabriele Albertini e Amadeus


         INTRECCIO E MISTERO: L'INSTALLAZIONE DI DORMINO




“L’origine della trama” di Davide Orlandi Dormino è il risultato di una intensa riflessione sul passaggio da artigianato ad arte.
Un’evolversi ipotetico e plastico del moto della vita, nei sui respiri sincronici e combinatori. Un flusso involontario, che esce fino a toccare la strada, una misura ritmica dell’universo per renderci testimoni dell’idea di origine. Quando sarete davanti a questa installazione, accostate lo sguardo fino ai piccolissimi fori e vedrete una cascata di vibrazioni metalliche. Sentirete di essere parte dell’opera perché ne condividerete lo stesso mistero: l’origine e la trama. Dopo girateci attorno, osservatela con cura, percorrendo con gli occhi i lunghi fili metallici e penserete, a poco a poco, alla molteplicità combinatoria della vita in ogni sua forma.
Stabilirete con l’opera una fortissima attrazione empatica poiché tutti noi siamo allo stesso tempo un intreccio molecolare, genetico ed emotivo.


                                     
Nilla Zaira D'Urso            




L’INDEFINIBILE SIGNIFICATO DELLE LINEE  DI ALBERT OEHLEN



Una danza spigolosa e curvilinea tra l’artista e il suo carboncino su un semplice sfondo bianco rende i fili del disegnare una ricerca consapevole di  libertà e senso estetico. Predominanti il bianco e il nero con  sfumature e sbavature.
Segni precisi e linee dinamiche rendono lo spazio pittorico scandito da proiezioni ritmiche e traiettorie sospese. Si delineano i margini di un’immaginaria forma o di pensieri in azione con disegni essenziali dal forte impeto e slancio.
Albert Oehlen, artista tedesco, propone il grado zero del disegno ovvero la costruzione di forme nude che evocano la sensazione delle crepe sulle pareti.
L’arte contemporanea è anche questa: uno sguardo sulla dimensione scheletrica del disegnare, una narrazione sui suoi segni primordiali che rendono l’arte del XXI secolo indefinibile, complessa, irrisolta e irrequieta.

Seppure nell’apparente disequilibrio visivo queste linee emanino una forma di eleganza, mi chiedo cosa penserà un osservatore davanti a queste opere. Forse nella complessità rumorosa del nostro presente Oehlen propone la semplicità e l’essenzialità di ciò che resta dell’arte. Rimane solo il segno e il gesto del disegnare, sintetico ed essenziale senza toni profondamente nuovi, poetici e senza un’esaltante bellezza.

Una parte dell’arte contemporanea misura la sua equivocità continua col suo essere gioco, sperimentazione, ricerca molte volte poco comprensibile come questi lavori di Oehlen, che danno l’impressione di stare di fronte a un gioco umoristico di fulmini e saette senza temporale, senza pioggia. Senza magia.

Nilla Zaira D'Urso


BRAHIM ACHIR: INCANTI DI DONNE

Preghiere d’amore celebrano e raccontano il mistero e la natura delle donne, con eleganti pennellate, delineando tratti talmente misteriosi da farle apparire  più simile al divino.
In ogni molecola dei colori ad olio di Brahim Achir si propaga la poesia della terra nei suoi paesaggi onirici, in accoglienti ed enigmatiche forme femminili, che avvolgono i confini del reale e del sogno con un  intenso inno di gratitudine alla madre terra. 
Volti femminili dallo sguardo immobile, seducente, magnetico, come divinità eteriche senza carne, in forme ovali e geometriche, sembra che incarnino le attese del tempo,  la nostalgia del passato, la sensualità dell’eros, il fascino della poesia, la nudità silente dell’essere, la bellezza dell’intelletto e il mistero della creazione.
Queste donne sono delle muse che affascinano l’animo dell’artista algerino Achir, poeta e pittore, che non solo dipinge con notevole padronanza tecnica, ma riesce ad imprimere sulle tele l’incanto della donna facendo emergere il sapore di un forte piacere sensuale e allo stesso tempo infinitamente spirituale.

Nilla Zaira D’Urso
ALTRI MONDI POETICI CON PIETRO PICCOLI


C’è un valore intrinseco all’arte, nel suo avvicinarsi al sublime con sensazioni ed emozioni universali, capace di oltrepassare la siepe da cui vengono fuori altri mondi, ma a una sola condizione: deve esserci un grande artista, poetico e visionario.
Ed è questo il caso di Pietro Piccoli, pittore e scultore dalle evocazioni poetiche leggiadre, sospese, misteriose.
Nelle sue grandi tele appaiono profonde e immobili le acque cromatiche, sulle quali visioni molteplici di vele, barche, riflessi di luci e colori si incontrano come se aleggiassero per riprendere il volo. Si delinea così la possibilità poetica di un altro mondo, dove quelle stesse vele sono ali e l’acqua coesiste insieme all’aria, offrendo all’osservatore una visione lontana di immagini riflesse su un metaforico specchio, che intercetta flussi migratori di colori insieme a paesaggi mutevoli e caleidoscopici.

In questo modo le barche, dipinte nell’attimo in cui il vento le accarezza e le scuote, diventano all’unisono una coralità di vele, appartenenti ad altri mondi che si incontrano nell’evolversi di istanti.
Nell’attraversare con lo sguardo questi paesaggi non c’è un solo punto di vista perché sono molteplici gli sguardi nel gioco delle visioni, mai identiche a se stesse,  diverse e vitali dentro una pittura caleidoscopica. E a noi rimane la possibilità di cogliere, in queste grandi tele, l’istante di ciò che è e immaginare ciò che sarà.

Di questa dualità, tra sguardo e immaginazione, la pittura di Piccoli è una sintesi di altissima maestria artistica dove le forme poetiche figurative evocano gli archetipi dell’astrattismo nelle animose e colorate pennellate.
Nei suoi stessi tratti pittorici c’è una continua migrazione di colori e forme nel tempo e nello spazio, oltre l’aria e l’acqua, per dare spazio a un’altra idea di mare, senza onde, senza salsedine, nella profondità di riflessioni e rifrazioni che fanno pensare a un misterioso lago.

Ed è proprio una certa dose di mistero che crea nell’arte il suo punto più alto e un artista, dal molteplice talento,  come Pietro Piccoli sa quanto la pittura, quella vera, debba essere costellata a somiglianza a immagine/del mistero specialmente nell’abisso caotico e dispersivo dell’arte contemporanea.
Anche la poliedricità di un artista si misura nelle sue diverse possibilità di dare corpo e anima alla poetica dei colori, di creare forma e spessore alla profondità dello spazio, in supporti sempre differenti, nell’esigenza continua di difendere e testimoniare quella parte invisibile e indispensabile del mondo: l’ombra di ogni creatura, lo spiraglio di luce di qualsiasi buio, rievocando l’aspetto più profondo e poetico insito nell’arte.

Così la ricerca artistica di Piccoli, mossa da una forza di natura centripeta, approda nella materia argillosa con grandi piatti in terracotta, in cui si avverte un centro focale, da cui parte il moto di un’immaginaria spirale che accentra a sé vele e barche, conferendo alla materia un notevole senso di  luminosità acquatica.
Nella scelta rotonda del piatto si percepisce l’idea metaforica del tempo, in maniera organica e armonica, con visioni pittoriche di acqua e vele.  E si sente, con maggiore intensità, il tratto pittorico più vigoroso e libero di non addentrarsi in una narrazione di  forme, ma di segmentare e tentare di fermare cromaticamente il senso rotatorio dello spazio e la circolarità del tempo.
Colori avvolgenti, decisi e luminosi appaiono nell’attimo prima di disperdersi nell’universo e ruotare con le stelle, mentre si avverte la forte necessità dell’artista di imprimere nella materia il moto circolare delle sue costellazioni pittoriche.

Sperimentatore incessante e geniale, alla continua ricerca del connubio artistico tra res cogitans e res extensa, avvia anche una sorprendente e divertente ouverture scultorea con le prime sculture in acciaio, monocrome e dipinte, per dare plasticità alle barche della sua pittura.
Spigolose, geometriche nelle loro linee generali, attraversate da un senso di morbidezza che le avvolge, disegnano nel pulviscolo dell’aria le direzioni di un viaggio: una migrazione corale.
L’umanità, raccontata plasticamente dentro un altro ecosistema, in cui le barche possono volteggiare nell’etere, quasi sempre insieme, ricoperte da giochi di colore monocromi e accesi con fantasie quasi grafiche in una giocosa e divertente ilarità cromatica.
Una sintassi musicale su un pentagramma pulviscolare dove ogni insieme di barche  sembra rappresentare la sequenza di un fantasioso genoma.

Un senso di leggerezza viene fuori dalla materia acciaiosa, lavorata con grande cura e precisione nei dettagli e nei tagli, con fessure di luce e aria, dai rimandi grafici.
Deciso il forte richiamo alle acquisizioni storiche dell’arte contemporanea, nella serialità scultorea delle barche, assemblate e rielaborate abilmente in un montaggio di elementi e significati, dove l’aria e l’acqua possono coesistere all’unisono dentro uno stravagante “sistema cartesiano” in cui il tempo esiste nell’hic et nunc.
Con queste sculture Piccoli offre un’epidermide plastica alle sue visioni pittoriche  per far muovere, nell’apparente immobilità, l’invisibile dondolio delle barche, metafore di vita.

Riesce nell’alto intento di creare opere così poetiche ed eterogenee da offrire agli osservatori la possibilità di essere testimoni di un’apparenza nuda, un indispensabile mistero: la bellezza dell’arte.

Nilla Zaira D'Urso